La ragione è il termine che si usa in modo
predominante in filosofia, ma che nel tempo e nella storia si è affermato come
riferimento in una molteplicità di significati. Fra questi se ne possono
distinguere due fondamentali: La ragione intesa in senso metafisico, come
principio e fondamento della realtà e la ragione come facoltà del pensiero
dell'uomo e guida della sua condotta etica. Entrambi questi significati si
possono far risalire alla filosofia greca, nella quale ricorre il termine
"logos" sia per designare la legge essenziale di tutta la realtà, sia
per designare la capacità dell'uomo di ragionare e di discutere. In questa
seconda accezione la ragione è intesa come dianoia, cioè come facoltà
discorsiva ed è contrapposta all'intelletto (in greco, nous), ossia alla
capacità di cogliere intuitivamente le verità basi da cui muove ogni
ragionamento. Nella prima accezione, sul senso metafisico, la ragione come
“logos” fa la sua apparizione nella filosofia di Eraclito e trova la sua
espressione più conseguente nella filosofia degli stoici. Questi intendevano il
logos come la legge che governa tutte le cose, ossia come l'ordine razionale
della natura e del cosmo, seguendo il quale l'uomo conduce una vita giusta e felice.
Questa concezione della ragione, nella cui evoluzione si trova a toccare
diversi campi della logica, spesso si è trovata in contrasto col pensiero
cristiano dei padri della Chiesa. Essa, torna anche nella filosofia moderna, in
un contesto problematico molto diverso, esposto dal filosofo Hegel. Egli
infatti concepisce la ragione (da lui
denominata anche Idea e Spirito), come la legge immanente della realtà nel
suo sviluppo naturale e nello svolgimento storico. Per Hegel, l’uomo viene
identificato nella prospettiva del pensiero (ragione) e dell’essere (realtà) e
pone la ragione, intesa anche come conoscenza dell'assoluto, al di sopra
dell'intelletto, che consiste nella facoltà di determinare un concetto astratto
nella conoscenza del particolare. Per Hegel la ragione, sia come fondamento
della realtà sia come conoscenza della totalità del reale, procede secondo un
ritmo di tipo dialettico, che, passando attraverso antitesi e contraddizioni,
perviene a collegare nella sintesi i diversi momenti della realtà che
l'intelletto coglie separatamente, in altre parole, per cui, la ragione in senso
metafisico, fa la media della risultante di tutte le componenti delle ipotesi e
delle realtà e ne trae la formula di vita. In riferimento alla ragione come
facoltà umana, è celebre la definizione dell'uomo come "animale
razionale" data dal filosofo greco Aristotele. Egli concepisce la ragione
come la capacità di svolgere correttamente deduzioni di tipo sillogistico a
partire da date premesse. Per questa sua funzione essa si distingue dall'intelletto,
che è la capacità di cogliere i principi primi delle scienze in maniera
intuitiva, senza avvalersi di passaggi discorsivi. In un diverso contesto
problematico, sia i filosofi neoplatonici sia il pensatore cristiano S.
Agostino, subordinano la ragione all'intelletto, proprio perché esso rimane una
conoscenza discorsiva inferiore alla conoscenza puramente intuitiva del
tempo. Dio, secondo i filosofi
cristiani, come ad esempio san Tommaso d'Aquino, conosce tutto intuitivamente,
senza determinare le verità a una a una attraverso ragionamenti. Alcuni non
sono d’accordo sulla parola intuitivamente.
Si ritornerebbe, allora, al concetto che gli animali si atteggiano
intuitivamente e questo carattere non può essere attribuito a Dio. Per questo, l’uomo,
con tutta la sua scienza, dovrebbe essere capace di stabilire e ipotizzare come
agire correttamente e ciò non l’ho è. Per esempio, come si fa ad affermare che
Dio conosce intuitivamente tutte le cose? Per arrivare a questa conclusione di giudizio,
il pensiero dell’uomo dovrebbe essere più di quello di Dio, poiché, solo un
pensiero più grande può definire un pensiero più piccolo e noi non lo abbiamo.
Allora, se vogliamo conoscere come pensa Dio, sarebbe più profittevole scoprire
come pensa l’uomo. E fino a oggi non siamo stati capaci di scoprire i limiti
del nostro pensiero né le sue capacità. Quando diciamo in fede, che Dio sa
tutto, in realtà non concepiamo cosa sia il tutto e questa conclusione fa si che
ci fa rinunciare la ricerca del vero, poiché, cercandolo verrebbe coinvolta la
fede, la quale, ci porta a sviluppare una profonda sensibilità trascendentale
che ci avvicinerebbe a Dio, senza mai raggiungere la sua conoscenza, essendo
che non siamo capaci ne sensibili al sentimento spirituale della divinità,
poiché, la ragione, essendo prodotta dalla nostra mente ci fa intendere secondo la sua limitata natura.
Quando diciamo che Dio sa tutto è perché ha fatto tutto, secondo la sua parola
e il tutto oltre a essere nella sua conoscenza è anche sottomesso a Lui. Nulla
gli può essere nascosto, poiché, ogni cellula e ogni elemento, esiste e si
muove nell’universo, ubbidendo a Lui, come se fosse una persona. Questo
concetto non può essere capito dalla mente umana né dalla sua ragione. Quindi Dio non conosce le cose per intuito,
ma per natura intrinseca essendo che li ha creati. Egli, avendo dato
disposizioni a ogni elemento dell’universo di come comportarsi, cioè avendo imposto
la sua legge, se dice al mare di aprirsi, esso ubbidisce perché Egli ha dettato
un cambiamento strutturale. Questo diverso funzionamento non è altro che il
seguire un’altra legge e ciò per noi è quello che chiamiamo, miracolo. In riguardo al rapporto che vi è tra la
ragione e la fede, si sono sempre presentate delle teorie diverse e
contrastanti e si è cercato di far prevalere ora una ora l’altra virtù
causando, spesso delle discordie in seno ai ragionamenti culturali dove la
ragione è finita per prevalere in quei soggetti legati al realismo e poco alla
dimensione trascendentale. Così si sono formati due fazioni di intendo e di
tendenza culturale, quasi che l’una vorrebbe sopraffare l’altra. In effetti
questi due virtù o sentimenti innati nell’uomo sono stati dati dal Creatore
come possibilità di libero arbitrio per mezzo del quale possiamo avvicinarci
all’uno o all’altro come vogliamo, come se avessimo ricevuto del denaro e a
nostro compiacimento possiamo spenderlo come ci aggrada e possiamo farlo
incrementare se osserviamo certi principi di economia. E appunto, parlando del
denaro e considerando da vicino una moneta, in essa possiamo vedere che ha due
facciate, ecco in una mettiamo la ragione e nell’altra mettiamo la fede. Le due
virtù si trovano di segno opposto ma che fanno parte della stessa moneta.
Ebbene se ci ricordiamo che Gesù disse: Date a Cesare ciò ch’è di Cesare e a
Dio ciò ch’è di Dio. Possiamo entrare nel significato che la ragione non è da
emarginarla né tanto meno di sottovalutarla, poiché è il mezzo che ci
accompagna in tutte le difficoltà dello studio e del progresso, ma nemmeno la
fede deve essere scartata ne sminuita, poiché, anch’essa è il mezzo della
salvezza dell’uomo, essendo l’ancora che ci permette di fuoriuscire da questo
mondo travagliato, portatore di morte per farci rafforzare la conoscenza della
realtà di Dio. Poiché, la vita si
esplica sulla natura materiale che ci circonda, non avvertiamo quella
spirituale che ci accompagna, ed è quindi facile, che quest’ultima non sia
avvertita e finisce per contentarci solo della realtà immediata che vediamo e
tocchiamo. E ben risaputo che non sentiamo tutti i suoni che si propagano, ma
nemmeno tutte le cose che vediamo, non sono tutte. Quindi se la ragione ci
porta a considerare tutto ciò che vediamo e che comprendiamo, allora,
inconsapevolmente, stiamo eliminando una grossa fetta dell’esistenza che è
intorno a noi. Ma la parte che non percepiamo non è facile ad accettarla, per
cui la ragione, prendendo corpo nella nostra mente come elemento indispensabile
di ragionamento, la facciamo diventare elemento essenziale, per conoscere Dio.
Essa si troverà inadeguata a ragionare le cose dello spirito e sarebbe come il lottare
di un soldato con una sola mano che si troverebbe in difficoltà e presto
sarebbe sconfitto. La ragione, tuttavia, non è sconfitta da cedere le armi, ma
si avvale delle leggi naturali e fisiche per potere contestare tutto ciò che
non è assimilabile alla mente e alla ragione. Prende forza, così, la ragione
come elemento insostituibile per misurare la capacità dell’intelletto, e tutto
ciò che non è concepito in esso, non è accettato, quindi, può non esistere. Ma
non sempre la ragione fa breccia nella mente, altri sviluppano pensieri che si
stazionano all’altra faccia della moneta, mi riferisco alla fede e percepiscono
dimensioni trascendentali che fanno concepire il preludio di un mondo
sconosciuto ma che è reale come lo è la vita stessa di tutti i giorni. Ma per
intraprendere questa esperienza, bisogna che la fede diventi un veicolo
necessario per potere capire le dimensioni del divino. Quando si entra in
questa dimensione ci si accorge che in fondo la ragione, altro non è che un
veicolo limitato, con poca energia e quindi poca autonomia. La fede riesce a
farci percepire l’infinito e la debolezza della capacità di intendere
dell’uomo, mentre la grandezza e il mistero ci suggeriscono un Architetto che
abbia in controllo ogni cosa e che tutto sia stato foggiato con la sua
Parola. Infatti, se l’uomo deve tagliare
un pezzo di tavola egli ha bisogno di una sega e la forza che si trasforma in
moto, ma Dio nel tagliare la tavola non ha bisogno della sega, Egli comanda
agli elementi di separarsi nel punto da Lui voluto, e loro ascoltandolo come se
fossero dei viventi, si separano e così la tavola è tagliata. Dio non agisce
per intuito perché appena comanda gli elementi, gli ubbidiscono. Così, quando
una neoplasia colpisce il corpo dell’uomo, Egli comanda gli elementi che
compongono quel tumore, ed essi ascoltando come fa l’uomo. Per noi, l’immediata guarigione è un
miracolo, ma per Dio è un comportamento comune del suo agire.
Pace e fede nel Signore